Il contributo è stato pubblicato sull’edizione de “il T – Quotidiano autonomo indipendente del Trentino Alto Adige – Sudtirol” di domenica 13 novembre 2022 a firma di Emanuele Pastorino, attivista di Futura Trentino.
Schiller e Dostoevskji non bastano a nascondere la profondità del fossato culturale che una generazione di potere ha scavato nei confronti del mondo di oggi e del futuro delle altre. In un recente editoriale, Renzo Fracalossi si scaglia contro le attiviste e gli attivisti per il clima (per il clima) che hanno protestato nell’unico modo efficace: rendendosi evidenti.
Possiamo – dobbiamo – discutere del perché la lotta contro i cambiamenti climatici ha scelto, dopo molte altre, anche queste forme. Le attiviste e gli attivisti che hanno colpito opere così centrali nella nostra cultura – ma mai, per quello che sono riuscito a ricostruire, distruggere né sfigurare permanentemente: è il valore della loro protesta, che è per il futuro, un futuro dove Van Gogh, Goya e Monet hanno una parte – sono tutto fuorché ignoranti: lo hanno fatto scientemente, lo hanno fatto per avere telecamere puntate e poter dire verità scientifiche, ricercate, accurate, culturalmente posizionate che, specie dopo la pandemia, sono come diventate meno importanti.
Possiamo – dobbiamo – chiederci perché e come intere generazioni abbiano sostanzialmente fallito nell’invertire una tendenza e, ora, la dimensione contro la quale dobbiamo confrontarci sia quella dell’estinzione – contro cui ribellarsi – e del futuro – per il quale lottare. Estinzione e futuro: sono parole pesantissime che non dovrebbero avere bisogno di polpe di pomodoro o puree lanciati per essere centrali alle nostre agende politiche. E non lo sono, non lo sono state quando la transizione ecologica ha operato una sorta di greenwashing delle coscienze di un intero blocco generazionale (le ricordate le foto dell’allora ministro Cingolani con Greta Thunberg, vero?), non lo sono oggi, dove gli esiti di quelle crisi ci portano (nonostante tutto e tutti) ancora a discutere di avere piste da sci dove la neve non cade più, di abitudini da cambiare appena un po’ mentre in moltissimi altrove l’estinzione sta mietendo vittime.
Possiamo – dobbiamo – farci una serie di domande: tra queste, tre le ha suggerite Ferdinando Cotugno, giornalista di Domani e autore di “Primavera Ambientale” (Il Margine), su Rivista Studio, guardando proprio al caso dei Girasoli. Si chiedeva: l’azione “è stata fatta bene? È giusta? Serve a qualcosa?”. Attenzione: “bene” e “giusta” non come valutazione morale ma di efficacia. In questo, le azioni delle attiviste e degli attivisti sono la teatralizzazione di una disperazione che i sistemi di potere stanno ignorando sistematicamente. Sono state fatte bene e sono giuste, da questo punto di vista.
Guardando alla terza domanda, ci pone un tema che è centrale alle nostre azioni: “l’attivismo è fare il meglio che si può per comunicare temi complessi nella limitata finestra di attenzione a propria disposizione” scrive ancora Cotugno. “Ogni azione è come l’elevator pitch con cui i fondatori di startup devono convincere gli investitori a dargli i soldi nel corso di un viaggio in ascensore. Hai un minuto di ascolto, te lo sei procurato, bravo. Ora come decidi di spendere quel minuto? Nella versione semplificata di quell’azione – l’unica che siamo in grado di consumare – l’osservatore si identifica in Van Gogh, non con le attiviste”. Ed è un problema e va affrontato. Tuttavia è un problema posto in termini adeguati al tempo che stiamo vivendo: non una posizione moralistica, altezzosa e borghese, ma l’osservazione pragmatica e partecipe di una lotta che ha alcune generazioni in prima linea e le altre, se non altro per prospettiva biologica, se non altro perché non condannate a subire gli effetti dell’estinzione che hanno generato, a sostegno.
“Come decidi di spendere quel minuto?”: per persone che, come me e Fracalossi, agiscono nel mondo largo della politica, della cultura, della formazione, è prioritario scegliere. Possiamo – dobbiamo – farlo consapevoli e non paternalisti. Possiamo – dobbiamo – farlo pieni di rabbia e non timorosi della complessità che dobbiamo affrontare.