Editoriale di Silvia Defrancesco pubblicato su l’Adige del 30.8.2020.
Far ripartire la scuola in sicurezza. Dietro a questa asserzione si nasconde una bugia.
La frase, che ha forti connotati politici, viene enunciata a sproposito dalla destra e dalla sinistra, dalla maggioranza e dalla minoranza sia a livello nazionale che locale.
E’ tuttavia d’effetto e si presta a tutte le manipolazioni possibili: per chi ha in mano la gestione della questione dal punto di vista istituzionale, la usa per tranquillizzare i cittadini, mostrare certezze col “ci pensiamo noi”; chi invece è all’opposizione, la usa per dire che non si sta facendo bene, che governi e giunte si stanno occupando della scuola in modo non adeguato, se non scorretto.
Il leader nazionale della destra minaccia di non mandare la figlia a scuola (è libero di decidere anche questo, però dovrebbe garantire alla bimba l’insegnamento parentale: lo vuole fare?).
Che la scuola sia tema divisivo, mi indigna e mi impaurisce.
Mai come quest’anno, tutti hanno capito che la scuola è importante: qualcuno solo in quanto è mancato un parcheggio per i figli, ma questo è un altro discorso.
E allora, se così è, per quale motivo non si collabora a trovare soluzioni? Per quale motivo si specula sulla scuola per fare una continua, scorretta campagna elettorale?
Ma soprattutto: perché non si spiegano le cose come stanno, ovvero che il mondo scuola non è un mondo altro rispetto al resto della società?
Il problema che la pandemia ci ha messo di fronte è molto complesso e soluzioni semplici e perfette non ce ne sono.
Si possono e si devono mettere in campo tutte le strategie oggi note per limitare i contagi a scuola: aumento dei mezzi di trasporto, banchi distanziati, bassa densità di studenti per classe, monitoraggio con test a campione (impensabile fare test a tutti, a ciclo continuo!), disponibilità di gel, sanificazione, forse anche le mascherine.
Ma poi? Cos’altro può fare la scuola? Possono forse gli insegnanti controllare le distanze fra ragazzi durante le pause? E soprattutto cosa succede FUORI da scuola?
Ogni sforzo sarà inutile se non si invoca – da parte di tutti! – una stretta alleanza con le famiglie, le quali sono corresponsabili della salute dei propri figli. Ieri, in coda davanti a una gelateria della città, vedevo tanti ragazzi (in numero equivalente a un gruppo classe), rigorosamente senza mascherina, vicinissimi l’uno all’altro: me li immaginavo il giorno seguente nei loro bei banchi monoposto e mi domandavo a chi sarebbe stata imputata la colpa di un eventuale caso di Covid: alla scuola, alla gelateria, o….? Esempio banale, ma non troppo.
Non voglio qui scusare i ritardi, le idee peregrine messe in campo, le incertezze esagerate, lo scarso dialogo con le parti coinvolte: aspetti già segnalati da molti, in più occasioni.
Vorrei solo sottolineare che a tanti italiani piace distinguersi per la lamentela continua, come se la soluzione fosse lì pronta e nessuno la volesse mettere in pratica (si ricordi che anche all’estero non si è trovata la ricetta giusta per riaprire le scuole “in sicurezza”).
Mi pare, anche, di intravedere nelle discussioni su questa questione un sintomo di una malattia diffusa: ritenere di avere solo dei diritti e non dei doveri. Si esige una scuola perfettamente sicura, ma fuori si agisce in totale libertà, in spregio a qualunque regola.
Alcuni docenti non si rendono nemmeno disponibili per fare il test sierologico.
A suo tempo, nessuno si ribellava perché doveva fare il test cutaneo per la tubercolina: perché oggi si filosofeggia sulla libertà personale, inceppando un meccanismo di tentativo di prevenzione?
La pandemia riguarda tutti; se ciascuno di noi non si comporterà con precauzione e cautela, non ci sarà alcuna soluzione possibile e tutti i migliori sforzi per riaprire le scuole saranno inutili.
Dunque, sì a “far ripartire le scuole, con l’aiuto e la collaborazione di tutti”.
Silvia Defrancesco, candidata alle elezioni comunali con Trento Futura.